GIOVANNI PASCOLI - CANTI DI CASTELVECCHIO
34. LA CANZONE DELL'OLIVO |
I
A' piedi del vecchio maniero che ingombrano l'edera e il rovo; dove abita un bruno sparviero, non altro, di vivo; che strilla e si leva, ed a spire poi torna turbato nel covo, chi sa? dall'andare e venire d'un vecchio balivo: a' piedi dell'odio che, alfine, solo è con le proprie rovine, piantiamo l'ulivo! |
IV
Nei massi le barbe, e nel cielo le piccole foglie d'argento! Serbate a più gracile stelo più soffici zolle! Tra i massi si avvinchia, e non cede, se i massi non cedono, al vento. Lì, soffre, ma cresce, nè chiede più ciò che non volle. L'ulivo che soffre ma bea, che ciò ch'è più duro, ciò crea che scorre più molle. |
II
l'ulivo che a gli uomini appresti la bacca ch'è cibo e ch'è luce, gremita, che alcuna ne resti pel tordo sassello; l'ulivo che ombreggi d'un glauco pallore la rupe già truce, dov'erri la pecora, e rauco la chiami l'agnello; l'ulivo che dia la vermene pel figlio dell'uomo, che viene sul mite asinello. |
V
Per sè, c'è chi semina i biondi solleciti grani cui copra la neve del verno e cui mondi lo zefiro estivo. Per sè, c'è chi pianta l'alloro che presto l'ombreggi e che sopra lui regni, al sussurro canoro del labile rivo. Non male. Noi messe pei figli, noi, ombra pei figli de' figli; piantiamo l'ulivo! |
III
Portate il piccone; rimanga l'aratro nell'ozio dell'aie. Respinge il marrello e la vanga lo sterile clivo. Il clivo che ripido sale, biancheggia di sassi e di ghiaie; lo assordano l'ebbre cicale col grido solivo. Qui radichi e cresca! Non vuole, per crescere, ch'aria, che sole, che tempo, l'ulivo! |
VI
Voi, alberi sùbiti, date pur ombra a chi pianta ed innesta; voi, frutto; e le brevi fiammate col rombo seguace! Tu, placido e pallido ulivo, non dare a noi nulla; ma resta! ma cresci, sicuro e tardivo, nel tempo che tace! ma nutri il lumino soletto che, dopo, ci brilli sul letto dell'ultima pace! |